Corano e pacifismo

C'è un partito trasversale che unisce l'Oriente e l'Occidente, e che da anni sta lavorando con zelo feroce per trascinare il mondo nell'abisso: è il Partito Universale dei Venditori di Fumo e dei Seminatori di Odio. La potentissima holding sta usando ogni mezzo per farci credere che esiste uno "scontro di civiltà" tra un Oriente islamico che difende le più arcaiche tradizioni religiose e un Occidente cristiano e scristianizzato che guida la marcia dell'umanità verso il paradiso terrestre del Dio Mercato e delle libertà individuali illimitate.
L'arma più devastante di cui si serve il suddetto Partito è il terrore. Con il terrore, i militanti di al Qaida e dei gruppi ad essa collegati vogliono convincere gli occidentali e gli stessi musulmani che l'Islam è una fede militare, una religione di guerra e di vendetta contro gli "infedeli". Un "culto della morte" che si oppone all'amore per la vita, come hanno dichiarato nelle recenti rivendicazioni del massacro di Madrid.
Di fronte a tali menzogne e a tanta criminale ottusità non serve a nulla appellarsi a una generica volontà di dialogo tra le fedi, o a consimili vaghe speranze. L'unico vero modo per affrontare questo nemico spietato, e per annientarlo, è quello di attaccarlo sul suo stesso terreno ideologico: la conoscenza del Corano e delle tradizioni islamiche.
Il micidiale ordigno dell'ideologia di morte non va colpito dall'esterno, ma disinnescato dall'interno, con calma e pazienza. E il messaggio deve rivolgersi prima di tutto agli stessi musulmani, soprattutto a quelli - e sono già molti milioni - che vivono a fianco a noi in Europa, e che ormai sono o stanno per diventare a tutti gli effetti cittadini europei.
Ebbene, che cosa dice veramente il Corano della cosiddetta "guerra santa"? Sorpresa: innanzi tutto, il termine "guerra santa" non esiste nel modo più assoluto nel lessico originario dell’lslam. La parola gihad, tanto cara ai fanatici islamisti di oggi, vuoi dire "sforzo", e più precisamente "sforzo sul sentiero di Allah". Si tratta dunque essenzialmente di un atto di resistenza: resistenza contro le tentazioni di Satana e contro gli attacchi dei miscredenti. E qui si arriva già al dunque, perché questa concezione spirituale e difensiva del gihad è quella che si rivela con chiarezza nel fondamentale versetto 190 della seconda sura del Corano, il primo in cui la Parola di Allah si pronuncia sul tema della lotta agli infedeli: «Combattete sul sentiero di Allah coloro che vi combattono, ma non esagerate, perché invero Allah non ama gli eccessivi - inna-llâha lâ yuhibbu al-mu’tadin». Dai versetto si deduce in primo luogo che la guerra in questione può avere solo un fine difensivo; in secondo luogo che gli estremisti e i fanatici accecati dall'odio non sono graditi agli occhi di Dio.
Per sicurezza, vogliamo approfondire l'analisi del termine mu'tadin? Esso deriva dalla radice araba trilittera 'dw, che implica le idee di "correre sfrenatamente", "oltrepassare", "superare i limiti", "trasgredire". Nell'ottava forma verbale di questa radice, i'tadà, da cui deriva appunto il sostantivo mu'tadin, la radice 'dw si colora di significati aggiuntivi assai importanti: diventa cioè il verbo che indica le azioni di "aggredire", "agire ingiustamente verso qualcuno", "commettere una sopraffazione, un attentato, un atto di brutalità o di barbarie". Ecco dunque: con assoluta evidenza, il Corano, il Libro Chiaro (al-Kitàb al-Mubin), condanna i violenti che commettono atti di ferocia contro gli innocenti. È la Parola di Allah che lo dichiara.
Parola che, se in altri punti del Libro Sacro - come nel versetto 33 della quinta sura, che minaccia pene corporali per "coloro che combattono Allah e il suo Inviato" - può suonare più aspra e bellicosa nei confronti degli idolatri, non per questo smentisce o può comunque attenuare il valore imperativo di quella prima solenne affermazione: combattere solo per difendersi, non oltrepassare i limiti, non aggredire gli inermi, gli innocenti, coloro che non ci hanno fatto del male.
Ma il Corano, nel versetto 32 della stessa quinta sura, va persino oltre questo concetto, e con sublimi parole intona un appassionato inno alla vita: «Chiunque abbia ucciso una persona senza ch'essa non abbia ucciso un'altra persona, o non abbia seminato scandalo sulla terra, è come se avesse ucciso l'umanità intera; e chi invece l'abbia fatta vivere, è come se avesse fatto vivere l'umanità intera».
Ma la Parola di Allah, come sappiamo, fu ispirata dall'angelo Gabriele nel cuore di un uomo chiamato Muhammad. E dunque è legittimo chiedersi: che tipo di uomo fu l'Inviato di Allah, il Profeta dell'lslam? Fu un bellicoso estremista, un "eccessivo"? La sua personalità, che da quattordici secoli è imitata come supremo modello di virtù e di comportamento dai veri fedeli musulmani, presenta forse un minimo aspetto, o fornisce in qualche modo un appiglio che possa giustificare il fanatismo ideologico o la brutalità sanguinaria nei suoi seguaci?
Ebbene no, nel modo più certo. Al contrario, se ci rivolgiamo sia al Corano, sia alle tradizioni relative alla vita e ai detti (hadith) del Profeta, scopriamo che egli fu un uomo dal temperamento mite e dal cuore benevolo e pietoso; un'anima sempre ardente di fede religiosa, sì, ma mai sconvolta da accessi di febbre fanatica o dà forme deliranti di zelo combattivo.
Nel versetto 63 della sura 25 del Corano leggiamo questa affermazione che può apparire stupefacente, se la si confronta con la comune idea di un Islam tutto rivolto per principio alla guerra e al martirio: «E gli schiavi del Misericordioso (musulmani, ndr) che camminano sulla terra umilmente, quando gli ignoranti (cioè gli idolatri, ndr) rivolgono loro la parola, rispondono: pace! -salâman!». I musulmani veri cercano dunque la pace, e solo quando ci sono costretti si rassegnano a combattere, con la dovuta moderazione, "sul sentiero di Allah".
Muhammad non tollerava, in particolar modo, la violenza nei confronti delle donne, dei bambini e di tutte le persone deboli e indifese; la sua pietà giungeva al punto (ben raro per quell'epoca) di fargli giudicare disumana la crudeltà nei confronti degli animali. In generale, si può dire che la moderazione sia stata la caratteristica fondamentale del suo stile di vita.
Ve ne sono esempi anche molto divertenti, sparsi tra le pagine degli hadith. Un giorno l’Inviato di Allah venen a trovarsi insieme ad alcuni suoi compagni in una valle deserta e silenziosa. Presi dall'esaltazione religiosa, i compagni si diedero a pronunciare le due invocazioni lâ ilâha illâ-llâh (non v'è Dio se non Iddio), e Allâhu Akbar (Allah è il Più Grande) con voci smodatamente forti. Infastidito da quell'eccesso, Muhammad li rimproverò: «O gente, calmaI moderatevi un po'. Non state invocando né un sordo, né uno che non c'è».
Il grande teologo medievale musulmano Abu Hâmid Muhammad al-Ghazâli ebbe a dire del Profeta: «Era il più umile degli uomini, il più silenzioso. Era sua consuetudine salutare lui per primo chi incontrava. Era il più facile al sorriso e il più amabile tra gli uomini. Spesso diceva: Non confutate il Corano servendovi di una parte di esso contro un'altra parte».
Il Corano - sura 2, versetto 256 – proclama esplicitamente: «Lâ ikrâha fì-d-din», «Nessuna costrizione nella religione». La fede non s’impone con la violenza. Ma questo è ciò che tentano di fare i massacratori di al Qaida: confutano il Corano, disobbediscono platealmente ai chiarissimi ordini del loro Profeta. Sono i veri nemici dell’Islam.

l’Unità, 20.03.04